Passeggiando lungo le strade del centro di Milano in un sabato pomeriggio piovoso mi imbatto nell'inaugurazione di Gap, colosso americano della moda low-cost, o quasi.
La capitale della moda nazionale sta attraversando da alcuni anni l'invasione di questi punti vendita che si affiancano ai grandi marchi del ready-to-wear nostrano (o prêt-à-porter, per chi non ha bisogno di controllare ogni volta come si scriva googlando il termine) e alle griffe storiche. Trovo giusto e sacrosanto che abbondino le boutique per chi vuol spendere svariate migliaia di euro acquistando una cintura Hermès o una borsa Bottega Veneta ma è altrettanto democratico lasciar proliferare templi dello stile chep and chic (dato che i cartellini dell'omonima linea di Moschino non lo sono per niente).
Zara continua inesorabilmente ad aumentare i prezzi (spesso non direttamente proporzionati alla qualità), Abercrombie & Fitch ha dimostrato che fondendo musica a palla, centimetri di pettorali scolpiti, profumi annebbianti e bionde sorridenti è possibile vendere migliaia di t-shirt stampate a 90 euro, H&M mira ad accontentare tutti i target possibili proponendo collezioni esclusive (martedì mattina avrà luogo la levataccia delle 5 per accaparrarsi abiti e accessori creati in collaborazione col marchio francese Lanvin) e sfoggiando ben due seconde linee: Divided e L.O.G.G. (Label of Granded Goods). A questi potrebbero aggiungersi anche Alcott, Carpisa, Motivi, Promod e tutti i brand del gruppo spagnolo Inditex: Oysho, Pull&Bear, Stradivarius e Bershka. Insomma, il mercato sembrava saturo. E invece no, mancava Gap (e prossimamente anche Banana Republic, linea d'élite appartenente allo stesso proprietario) e il suo buon rapporto qualità-prezzo.
Cos'ha Gap di diverso? Sorprendentemente qualcosa in più.
L'american style alla James Dean riflette la collezione maschile senza cadere nel look da tronista cowboy (vedi alla voce Abercrombie & Fitch) mentre quella femminile si arricchisce di stile grazie alla capsule Valentino for Gap, composta da alcuni capi disegnati appositamente dai direttori artistici del brand italiano Pier Paolo Piccioli e Maria Grazia Chiuri. Ciò che ha colpito maggiormente la mia attenzione è la sufficiente qualità dei tessuti abbinata alla cordialità degli addetti alle vendite, all'ordine negli espositori (prendi nota Zara) e alla quantità di suddivisioni merceologiche. Uomo, donna, bambino, bambina, neonato, curvy (taglie forti) e addirittura premaman! Quando mai H&M, di cui pure benedico ogni punto vendita esistente su questa terra, ha mai pensato alle taglie over 48?
Insomma, Gap non sarà la manna scesa dal cielo ma, facendo due calcoli, i conti tornano.